Tradizione e tradizioni … 50esima lettera dalla missione in Amazzonia
Ancora un viaggio missionario, passando per le Comunità e celebrando la vita degli uomini e delle donne, nella vita del Risorto. Maggio è il mese della Madonna nella tradizione cattolica, ma qui le due feste maggiori sono la “festa della mamma” e la “festa del Divino” (pentecoste). Prima di partire Gabri mi dice: “sai domenica è la festa dell’Ascensione, così ho detto al gruppo liturgico di scegliere canti adeguati. Hanno scelto tutti canti della Madonna per la messa. Ho chiesto perché? E la risposta è stata ovvia: era la festa della mamma!”. Sono partito come sempre il 10 del mese e domenica 12 è stata la festa della mamma, quale maggiore esempio si poteva usare per parlare dell’amore di Dio. Come una mamma che dona la vita, la porta in sé, la genera e la nutre, così il Signore prima di morire in croce, assassinato dal potere religioso e politico, offre la sua vita per amore e per tutti. È questo che l’Eucaristia rende attuale e contemporaneo a ciascuno di noi. Oggi Dio ci ama con la sua presenza di amore incondizionato e per tutti. La gratuità dell’amore sconfigge il male e neutralizza la morte. Chi dona la sua vita non muore, ma risorge! Nel risalire il fiume ci fermiamo nella Comunità di Nuova Speranza, qui il patrono è il Divino Spirito Santo, ci fermiamo per avvisare che faremo il possibile per arrivare domenica 19 e celebrare insieme la Messa di Pentecoste. Il nostro viaggio prosegue in pace, il livello dell’acqua un giorno sale per le piogge e l’altro scende, così ci sono molti insetti che rendono più difficile il viaggio, bisogna continuamente bagnarsi con alcool per il prurito e le ferite lasciate su tutto il corpo, gambe, piedi, pancia, non si salva niente, neppure le parti più nascoste! Ma non mi lamento, quando penso che la mia gente, bambini, donne, anziani e giovani vivono tutti i giorni e tutto il giorno in questa situazione, forse ci si abitua, ma non è facile! Arriviamo fino ad Ipiranga, pitturiamo la porta della chiesa perché il sole ha ormai scalfito anche il legno, cinque mani di vernice non sono sufficienti a renderla lucida, ma il barattolo è finito e così ci arrendiamo. Ipiranga è una Comunità in difficoltà, molte famiglie se ne sono andate e le poche rimaste spesso litigano fra loro aiutate dal grande consumo di alcool. I militari, che potrebbero aiutare, di fatto rendono la situazione più difficile per la relazione molto conflittuale con i civili. Mi preparo a trovarmi la chiesa vuota la sera, deciso a scuotere la polvere dai calzari per provare a scuotere le coscienze. Ma la sera, per mia meraviglia, la chiesa si riempie di bambini e anche alcuni adulti, la moglie di un tenente, l’infermiere del villaggio, due mamme, un sergente con la sua donna e il loro figlioletto. Così mi ricredo e parlo loro dell’essere testimoni di speranza, perché conosciamo il fatto della risurrezione che il Signore ha affidato come missione ai suoi e a noi oggi: essere testimoni di speranza in un mondo segnato dal potere della violenza e delle armi, dall’ingiustizia istituzionalizzata che ormai da troppo tempo caratterizza la nostra Patria amata, escludendo milioni di persone da una società che fabbrica ancora nuove povertà. Al mattino presto partiamo per il viaggio di ritorno, ci aspettano molte ore di navigazione, passeremo in tre Comunità prima di arrivare per celebrare la Festa del Divino. Mangiamo senza fermarci, uno guida e l’altro mangia, poi ci si cambia. Così riusciamo ad arrivare verso le due del pomeriggio, la Messa è prevista per le quattro e mezza. C’è molta gente, molti giovani e ragazzi, tutti impegnati a giocare a calcio, musica a sballo, bagno nel fiume e, naturalmente, qualche incontro amoroso sporadico. Il clima è molto bello, sono arrivate due lance dalla città portando i parenti della signora che ha iniziato la Festa del Divino. Entriamo anche noi nella mischia e condividiamo il momento ludico, parlando del più e del meno, della vita, i giovani, la politica (quest’anno ci sono le elezioni amministrative), del cammino della Chiesa e anche della fede e i sacramenti. Naturalmente giovani e adulti erano un poco alticci, reduci da una notte di molta musica e danze, tutto innaffiato da molta birra e caipirinha. Torno alla barca per prepararmi per la celebrazione eucaristica con un buon bagno che con questo caldo è indispensabile per la sopravvivenza. Mentre mi faccio la doccia, dalla finestra della barca vedo un gran movimento di persone che salgono sulle due lance caricando armi e bagagli, e in pochi minuti tutti partono per rientrare in città prima della notte. Non nascondo la mia amarezza, mi ero illuso che tutta quella gente, quei giovani e adolescenti fossero venuti per partecipare a un momento festivo, della religiosità popolare, che la loro nonna aveva preparato con cura offrendo cibo a volontà per tutti, senza risparmiarsi. Chiunque arrivasse, anche se sconosciuto, aveva il diritto di mangiare a sazietà, di riempirsi la pancia in onore della promessa fatta al Divino. Perché così cominciano le feste: la signora ha avuto una bimba con la sindrome di Down e si impegna a festeggiare il Divino tutti gli anni, offrendo cibo e festa per tutti, oltre alla preghiera e alla recita del rosario, in cambio della salute e protezione divina per questa bambina eccezionale. Ormai da più di cinquant’anni la promessa è mantenuta e questa religiosità popolare tiene unita la famiglia e la fede di quanti vengono annualmente a partecipare dei festeggiamenti. Almeno così pensavo anch’io. La bellezza e la forza della religiosità popolare come veicolo della fede. Ma, purtroppo, lo scrosciare dell’acqua del bagno si confonde con l’acqua che i motori delle lance schizzano, portandosi via tutti coloro che erano venuti alla festa. Faccio buon viso a cattiva sorte e vado per celebrare con i pochi rimasti, la signora e la figlia Down, il contadino che si prende cura delle mucche e pochi vicini ticuna che abitano il territorio. Per mia grande sorpresa, entrando in chiesa, guidato dal suono della campana, vedo una ‘moltitudine’ di persone venute come d’incanto dalle piccole Comunità vicine: San Crisostomo, Unione della buona fede, Manacapuru, san Vincenzo, Santa Maria. Mi guardo intorno, ancora commosso e sorpreso, li conosco tutti per nome, famiglie, giovani, bambini che frequentano le nostre Comunità Ecclesiali di Base. Sono li. Sono venuti per festeggiare il Divino, per celebrare la Festa di Pentecoste. Ora con gioia tutto può cominciare, i canti, la Parola, l’Eucaristia, l’abbraccio della pace, la comunione per tutti, i biscotti per i bambini che piacciono anche agli adulti, ormai una buona abitudine alla conclusione della Messa. Poi le cinque bandiere rosse del Divino, e una bianca del responsabile per la festa, cominciano a danzare al ritmo del tamburo che un provetto Ticuna suona con solenne rispetto. Una bambina è coperta con un telo bianco e prende in mano la colomba del Divino. Tutti usciamo e gli uomini fanno cadere il “mastro”, un alto palo che portava la bandiera e annunciava a tutti la festa. Alla caduta del Mastro un giovane corre a prendere la bandiera, sarà lui il responsabile per la festa del prossimo anno, il 2025, anno santo della redenzione. E così ci si incammina verso una grande canoa di otto metri, viene caricato il Mastro che percorrerà un tratto del grande fiume prima di essere gettato alle acque che lo porteranno fino all’Atlantico. Poi si ritorna in chiesa e la signora intona un vecchio cantico allo Spirito Santo, un ‘Bendito’, e ogni volta che si pronuncia il nome del Divino le bandiere si inchinano davanti alla grande colomba, fino a creare un tunnel nel quale i presenti che lo desiderano possono passare per fare le loro richieste di fede. Al termine tutti invitati nella casa grande della signora per condividere un’ultima ‘calderada’, zuppa di pesce, dandosi appuntamento per il prossimo anno, “se Deus quizer”, se Dio lo vorrà. Allora mi chiedo, mentre mi preparo per la notte, quale valore ha ancora la religiosità popolare? Quanto le tradizioni degli uomini possono ancora sostenere la Tradizione della Chiesa e la sua Missione? Certamente per le persone di una certa età, di un’altra generazione rimane un valore importante, quasi una impossibilità concreta di pensare la Fede al di fuori di questa religiosità. Ed è importante saper rispettare questo cammino. Ma per i giovani e per le nuove generazioni, per coloro che non hanno più un legame religioso e non conoscono più il Vangelo e la Chiesa, non è più un cammino di Fede. Rimane l’attrattiva per l’incontro, la festa, la musica e la danza, per l’occasione di mangiare e divertirsi, senza che tutto questo sia vissuto come cammino di Fede, ma è ormai una esperienza fine a sé stessa, chiusa nel suo consumarsi. Così molti “consumano” e pochi “camminano” verso la Fede. È diventata come una vetrata opaca che nasconde quel Mistero che ormai pochi possono e riescono ad incontrare. E mi venivano in mente le tante discussioni nelle nostre vecchie e stanche parrocchie, dove si devono salvaguardare le tradizioni degli uomini, che ormai non dicono più nulla alle nuove generazioni. Riti vuoti di significato nati in tempi e contesti che ormai appartengono a un passato già morto. Mi interrogavo: quale cammino viene dal Vangelo e non dalla tradizione degli uomini, quale luce ancora potrà brillare per condurre alla gioia della Fede, della Speranza e dell’Amore. Gli occhi erano ancora pieni di quei volti conosciuti, che riempirono i banchi della chiesa, provenienti da piccole Comunità che hanno accolto la sfida di celebrare la Parola, spezzare il Pane, condividere la Preghiera e prendersi cura della Vita gli uni degli altri, affinché nessuno sia bisognoso e abbandonato. Forse dobbiamo ritornare lì, alla bellezza e semplicità del Vangelo che chiede a ognuno di noi di impegnarsi per la vita di tutti. Anche la religiosità popolare e le tradizioni dovranno passare al crogiuolo del Vangelo ed essere purificate dalle troppe incrostazioni del tempo e ritrovare la freschezza della fraternità sostenuta dalla gratuità dell’amore del Signore. Allora mi addormento pregando: Vieni santo Spirito e rinnova i cuori dei tuoi fedeli, vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, consolatore perfetto, dolcissimo sollievo; vieni e riempici della luce e della gioia dell’Amore gratuito e fedele del Dio che è con noi e per noi. Amen!
Gabriel Carlotti – missionario dell’Amazzonia