Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione

Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito

Carissimi amici,

so che come comunità cristiana, come Chiesa, siamo stati a volte troppo duri e non vi abbiamo abbastanza ascoltato nella situazione già difficile e dolorosa che vivete, troppe volte si sono pronunciate parole che si portavano dietro un sapore di giudizio fatto senza misericordia e percepite come una condanna.

Capisco chi tra voi si possa essere sentito rifiutato o abbandonato dalla Chiesa. Posso dirvi che non è così per me e per tanti della nostra comunità che conoscono alcuni di voi e con voi soffrono e cercano strade di incontro. Se avete trovato sul vostro cammino uomini o donne della comunità cristiana che vi hanno in qualche modo ferito con il loro atteggiamento o le loro parole, desidero chiedervi scusa e dirvi l’affetto che sento per voi.

Come mi è capitato tante volte di fare, vorrei ascoltare le vostre storie, ricerche e domande. Alcuni di voi mi hanno raccontato che la fine di un rapporto coniugale per la maggior parte di voi non è stata decisione presa con facilità, tanto meno con leggerezza. Ci credo. È stato piuttosto un passo sofferto della vostra vita, un fatto che vi ha interrogato profondamente sul perché del fallimento di quel progetto in cui avevate creduto e per il quale avevate investito molte vostre energie. C’è chi mi chiede e anche io mi chiedo: come avremmo dovuto o potuto essere vicini a questi sposi?

Penso che possiate comprendere in che senso tutto questo ci tocca profondamente. Voi avete chiesto di celebrare il vostro matrimonio nella comunità cristiana, vivendolo come un sacramento, il segno che rende presente nel mondo l’amore stesso di Dio. Un amore totale, indistruttibile, fedele e fecondo, come è l’amore di Cristo per noi. Quando questo legame si spezza la Chiesa si trova in un certo senso impoverita.

La Chiesa quindi non vi guarda come estranei che hanno mancato a un patto, ma si sente partecipe di quelle fatiche e domande che vi toccano.

Posso solo provare a immaginare che prima di questa decisione abbiate sperimentato giorni e giorni di fatica a vivere insieme. Queste esperienze, quotidiane e ripetute, finiscono con il rendere la casa non più un luogo di affetti e di gioia, ma una pesante gabbia che sembra togliere la pace del cuore. E si sente che non si può più continuare la vita insieme. La scelta di interrompere la vita matrimoniale non può mai essere considerata una decisione facile e indolore! Questa vostra ferita anche la Chiesa la comprende.

Anche la Chiesa sa che in certi casi non solo è possibile, ma può essere addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, per evitare traumi più profondi, per custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche durezze.

Davanti a una decisione così seria è importante, non vincano però la rassegnazione e la volontà di chiudere troppo rapidamente questa pagina. La separazione diventi invece occasione per guardare con più distacco e forse con più serenità la vita matrimoniale. Non è opportuno prendere decisioni definitive quando il nostro animo è scosso da inquietudini o burrasche. Tutto quello che è ancora possibile fare per porre rimedio alle conseguenze negative che toccano la propria famiglia, per cambiare la propria vita… tutto questo deve essere fatto con coraggio.

Nelle vostre dolorose pagine di vita i figli sono spesso tra i protagonisti innocenti, ma non meno coinvolti; ogni giorno vediamo genitori che, rimasti soli, fanno crescere ed educano i propri figli con amore, saggezza, premura e dedizione. Li ringrazio, li ammiro e spero proprio che la nostra comunità sia di sostegno nelle loro necessità. Mi permetto di raccomandare a tutti i genitori separati di non rendere la vita dei loro figli più difficile, privandoli della presenza e della giusta stima dell’altro genitore e delle famiglie di origine. I figli hanno bisogno sia del papà che della mamma e non di inutili ripicche, gelosie o durezze.

Che spazio c’è, nella Chiesa, per sposi che vivono la separazione, il divorzio, una nuova unione? È vero che la Chiesa li esclude per sempre dalla sua vita? Ancora capita di sentire questo giudizio: “la Chiesa ha scomunicato i divorziati! La Chiesa mette alla porta gli sposi che sono separati!”. Non è così, ma questo giudizio è tanto radicato che spesso gli stessi sposi in crisi si allontanano dalla vita della comunità cristiana, per timore di essere rifiutati o comunque giudicati.

Gesù afferma che il legame sponsale tra un uomo e una donna è indissolubile, perché nel legame del matrimonio si mostra tutto il disegno originario di Dio sull’umanità, e cioè il desiderio di Dio che l’uomo non sia solo, che l’uomo viva una vita di comunione duratura e fedele. E così, afferma Gesù, “non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Da quel giorno la parola di Gesù non cessa di provocarci. Già in quel momento i discepoli rimasero scandalizzati dalla prospettiva di Gesù, quasi protestando che, se il matrimonio è una chiamata così alta ed esigente, forse non conviene sposarsi. Ma Gesù ci incalza e ci dà fiducia: questa esigenza non è fatta per spaventare, ma piuttosto per dire la grandezza cui la coppia è chiamata secondo il disegno di Dio. La vostra presenza, nonostante ferite ed esperienze dolorose, continua a parlare di una fede che resiste nonostante tutto.

Una questione che a volte ferisce e che ha sempre bisogno di essere approfondita è la possibilità di accedere alla comunione eucaristica per gli sposi che vivono stabilmente un secondo legame sponsale. Non si vuole esprime un giudizio sul valore affettivo e sulla qualità della relazione. Spesso le nuove relazioni sono vissute con senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli, ma queste nuove unioni nella loro realtà oggettiva non possono esprimere il segno dell’amore unico, fedele, indiviso di Gesù per la Chiesa. Sono consapevole che per alcuni può essere una condizione pesante, preciso che non riguarda i coniugi in crisi o semplicemente separati, ma solo il caso di nuova unione dopo la separazione o il divorzio.

Comprendo che quest’ultimo aspetto possa essere percepita come una ingiustizia, sentendo di non avere colpa per quanto successo o di vivere nell’impossibilità di tornare indietro, del resto so che una norma generale non può affrontare il vissuto di tanti. Come ci ricorda anche papa Francesco “è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale”.

Proprio per questo, quello che posso offrirvi è innanzitutto l’ascolto, poi il confronto e se lo desiderate un cammino dove al centro ci sia la vita di ciascuno di voi, nel desiderio autentico di camminare verso Dio e con la comunità, ognuno con i propri doni e limiti, come del resto è per ogni uomo e donna al di là delle situazioni concrete nelle quali si trova.

Possa veramente questo Giubileo essere l’occasione per tutti di camminare nella speranza e sperimentare la misericordia di Dio.

A presto.

d. Paolo