In Casa insieme a Messa separati
In questi mesi difficili, come comunità e penso soprattutto alle famiglie, abbiamo riscoperto e sperimentando in modo anche più forte del solito l’identità di essere Chiesa anche nelle case. La dimensione comunitaria dell’essere discepoli, è nel DNA della vocazione cristiana.
Ma ora che riprendono le messe e la comunità si può riunire, succede che appena metti piede in chiesa vieni separato dal coniuge, dai figli con più di sei anni, dai nonni che vivono con te e dei quali finora ti sei preso cura. Sì perché occorre stare a un metro di distanza.
Non voglio che le mie parole suonino come ingrate, so che tanta gente si dà da fare per rendere possibile recuperare alcune cose un po’ perse per strada in questi mesi, so che fatte certe norme dopo una settimana rischiano di essere già superate dall’evidenza di una evoluzione pandemica molto variabile.
Però, da semplice parroco di campagna, mi permetto di credere che la comunione e la vicinanza di vita sperimentata e cresciuta in modo intenso in questi mesi, debba continuare ad essere celebrata anche in chiesa e non abbandonata da una distanza che ferisce l’unità tra le famiglie. Da un punto di vista normativo mi permetto di mostrare l’incongruenza e il poco buon senso, che chiede in chiesa di stare lontani tra loro i componenti dello stesso nucleo di vita, ma non lo prevede se si è in auto, a passeggio, sotto l’ombrellone, al tavolo del bar o del ristorante…
Negli altri posti sì e in chiesa no. Non capisco. Non voglio assolutamente alludere a tentativi di complotto, probabilmente non ci si è pensato se efosse così si può facilmente rimediare, o forse quando ci si è ragionato la situazione era ancora così grave da non poterlo permettere, se fosse così ci si può allineare ora a certe consuetudini.
Del resto proprio sul sito della regione Emilia Romagna leggo parlando dei bar: in modo da garantire la distanza di almeno un metro tra le persone sedute, fatte salve le eccezioni alle regole sui distanziamenti previste dalle norme vigenti (stesso nucleo familiare, ecc.).
La cosa bella che poi viene detta continuando a leggere è che si chiede ai clienti di stare attenti e di essere responsabili nei confronti degli altri, che bella questa solidarietà reciproca. Così come nel testo uscito sulle norme riguardanti le spiagge vengono usate due parole molto sensate: “responsabilità personale”; cioè dice, voi due vivete insieme, condividete già tante cose, ci fidiamo di voi, non vogliamo dividervi, state però attenti agli altri, difendete e coltivate la vostra relazione ma siate “responsabili” voi nei confronti degli altri, ci fidiamo. Che bello!
Mi piacerebbe allora che la stessa fiducia e responsabilizzazione nei confronti delle persone, potesse maturare anche all’internodo delle norme con cui lo stato regola la vita delle comunità cristiane, lo desidero anche per i campi estivi con bimbi e ragazzi di cui tanto si parla ma che stanno diventando veramente difficile da pensare come realizzare, per tutta un’estate di ricostruzione della comunità anche sociale dei nostri paesi. Una responsabilità personale, che parte dal riconoscere alla famiglia, unità fondante del nostre vivere, il proprio essere e rimanere comunità sempre.
Mi permetto di scrivere qua, perché da prete di campagna non ho altro modo di arrivare a chi alla fine è chiamato a pensare, discutere e legiferare sia in ambito statale che ecclesiale.
don Paolo Tondelli
È corretto farsi un’idea, un parere ed un giudizio su una legge. Grazie per la condivisione e lo stimolo. Come appartenente ad una comunità, come cristiano pongo l’attenzione a come vivevo e come vivo l’Eucaristia domenicale, che importanza ha nella mia storia e nella mia vita questo appuntamento. Abbiamo avuto mesi per riflettere su questo : l’abbiamo fatto come comunità o ci siamo solamente lamentati per un divieto? Ci siamo chiesti del perché di una emorragia sia quantitativa che qualitativa nella partecipazione? Mi sono chiesto ldella differenza fra un precetto ed una appartenenza che va oltre alla regola, alla legge. La legge limita ed uccide l’amore, il cuore. Se penso al precetto domenicale annullo il senso dell’Eucaristia, la voglia di comunità.
La mia difficoltà non sta nelle norme di sicurezza alle quali devo stare da domani, ma la difficoltà è nel senso che do e che ricevo dai fratelli a questa partecipazione. Mi chiedo quanti partecipano attivamente alla preparazione, alla compartecipazione, alla celebrazione comunitaria, e quanti invece partecipano da spettatori che assolvono il precetto. La chiesa gerarchica ed i fedeli hanno avuto un’opportunità di silenzio e riflessione, né hanno approfittato? O siamo rimasti fermi al divieto contro il precetto? Al divieto contro l’obbligo?