Al pozzo di Sichar: la reciprocità del dono
Ripensando al Vangelo dell’incontro tra la samaritana e Gesù, al centro compare il pozzo. È il luogo dell’incontro, intorno a esso nascono amori, si risolvono liti, viene costruita una città (una comunità). Anche oggi abbiamo bisogno di pozzi che ci insegnino che l’altro è un dono e non un pericolo, chi incontro non è necessariamente portatore di minaccia (contagio) ma forse di salvezza. Oggi impareremo come gestire il rapporto con l’altro, con il diverso, con coloro cioè che non erano riducibili alla sua norma. Questa donna incontrata al pozzo è la concentrazione di tutto quello che è diverso da me e che mi porta a odiare l’altro.
Innanzitutto è una donna e parla di come in quella cultura esse erano considerate, ci sono persone con più diritti e altre meno, una questione così radicata culturalmente che tutti sono d’accordo sulla cosa, si vive in un mondo dove è scontato che esistano persone di serie “a” e serie “b”.
Oltre a questo essa è pure un samaritana, ossia apparitene a un altro popolo, non nel senso che viene da Marte, è che con il tempo si sono create divisioni, litigi, separazioni, diversità che sono diventate insormontabili. Lei è di un’altra razza, per questo vale meno di me perché io sono superiore e questo mi autorizza a disprezzarla.
In più questa donna è anche una poco di buono, io sì che sono meglio di lei, ho una morale più giusta, un comportamento più etico, principi sani, se anche lei vuole vivere qui deve imparare l’italiano, vivere come noi, rispettare le nostre usanze, perché noi siamo migliori.
Infine potremmo anche dire che appartiene a una religione diversa dalla nostra, è stata educata e cresciuta dentro un particolare movimento o associazione, viene da un’altra parrocchia non dalla nostra.
Queste o cose simili capita che siano i nostri pensieri quando incontriamo l’altro, ora invece impariamo da Gesù: dammi da bere! Sì perché l’incontro è capace di guarirci, se inizia da un aiuto chiesto e condiviso partendo da ciò che è di base per tutti, condividendo ciò che unisce tutti ossia: io sono come te, ho anche io sete. Riconoscere i miei bisogni, le mie ricerche, mi dice che sono come l’altro, anzi che ho bisogno dell’altro perché esse possano avere una risposta. La logica di questo brano è: tu dammi da bere e io ti darò da bere. Questo si chiama: reciprocità del dono. Solo che noi non siamo abituati a pensare così, infatti arriva un barcone e non pensiamo a cosa quelle persone ci posso dare in cambio dell’aiuto che riceveranno, ma solo quello che ci possono togliere o se proprio qualcosa si portano dietro sono le malattie. La logica nella quale entrare non è solo quella dell’aiuto dell’altro, ma dello scambio: la reciprocità del dono.
Il salto successivo che ci viene indicato è quello di accogliere quell’acqua nuova che è lo Spirito (relazione di amore tra Padre e Figlio) che chiede di superare le divisioni causate dalle vecchie leggi e usanze di un tempo, non si tratta di guardare indietro, è finita l’epoca dei templi e delle religioni che creano discriminazione, è finito il tempo dove riti e oggetti di devozioni sono usati contro gli altri visti come una minaccia da cui difenderci, è l’epoca dello Spirito e del dono del Figlio per tutti i popoli.
Così una donna, straniera, adultera, scomunicata diventa soggetto ed esempio di missione, è il potere che hanno tutti quelli che noi consideriamo come “poveri” (ma che invece sono fratelli e sorelle) di evangelizzarci. E questi odiati da tutti i giudei diventano esempio nel lebbroso unico tra dieci guariti a tornare a dire grazie, insieme a quello da noi conosciuto come “buono” che si ferma a prendersi cura di chi nessuno ha in nota soccorrendo l’altro nel bisogno.
don Paolo